#Lugo- La Coruña#
Annoto due pensieri che mi sovvengono così d’improvviso prima di prendere sonno su questo autobus “Arriva” che mi conduce da Lugo a La Coruña. Una notte di Bacchanalia. Senza fermarmi. Due giorni strapieni di movimenti, emozioni ed amici, tra Santiago de Compostela, La Coruña e Lugo. In particolare, ora, di ritorno da una esperienza particolare dal nome ARDE LUCUS.
Che cosa è? Si tratta di una “Festa di interesse turistico galiziano”. Una festa in costume della durata di tre giorni intensi che si tiene nella città di Lugo, una delle capitali di provincia della Galizia e custode di una muraglia romana integra unica nel suo genere.Costruita tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C., oggi, dopo una recente riqualificazione, si mostra tutta la sua bellezza circondano interamente il centro città. Dal 2000 è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. Penso che si avvicini alla sua splendida raffinatezza e sinuosità concreta solo la Grande Muraglia Cinese, ovviamente con le dovute differenze dovute al fatto che purtroppo non l’ho mai vista se non in foto. Però posso sottolineare il gemellaggio tra la muraglia di Lugo e la Grande Muraglia Cinese di Qinhuangdao.
Negli ultimi anni vanno tanto di moda i gemellaggi tra città per luoghi simili, feste affini o gastronomia condivisa!
Passeggiarci sopra, nella sua lunghezza di circa cinque chilometri, mi ha fatto sentire nel pieno dell’epoca romana che è esattamente ciò che questo evento vuole rievocare. Mi avevano avvisato di cercare in qualche modo un costume ed io così ho fatto. Un lenzuolo color bordeaux e marrone preso da casa del mio amico Riccardo, un buco per la testa, qualche punto di cucitura qua e là, una cintura ed una spilla simpatica per dare un tocco di modernità. Piante messe insieme per strada ed ecco il mio costume a metà tra un Bacchino malato, un vagabondo dell’antica Roma e un monaco Shaolin. Una giornata impreziosita da uno splendido sole e da uno strano ma sperato calore estivo.
Sotto il vestito niente. Rimane solo un semplice slip. E questa cosa ha fatto ridere tutti, soprattutto alcuni amici galleghi che stentavano a crederci e mi alzavano il vestito per controllare. La bellezza dell’atmosfera era concentrata soprattutto nel vedere tutti, e sottolineo, proprio tutti, da neonati a persone più anziane, in costumi romani, barbari e gallici. Alcuni mi hanno detto di aver pagato addirittura un paio di migliaia di euro per il proprio costume. Vero, bello, fatto su misura e con stoffe preziose. “Ma duemila euro hai capito quanti sono?” gli avrei voluto rispondere!
C’erano Asterix ed Obelix, Vercingetorige, i sesterzi romani per pagare. Si, proprio i sesterzi: all’entrata delle mura puoi cambiare gli euro in sesterzi per pagare. Due euro per un sesterzio. Una birretta, un sesterzio (in questo preciso momento mi viene in mente “Non ci resta che piangere” con la famosa scena del fiorino).
I passeggini bordati come se fossero bighe, le arringhe dei combattenti, le ancelle ed i massaggi, gli spettacoli dei gladiatori, satrapi, Baccanalia e cene luculliane. Passaggi e scene della commedia latina, programma fitto di appuntamenti, in galiziano e castigliano con innesti latini, musica, artisti di strada. La magnifica gastronomia galiziana Vino e birra. In una delle piazze mi sono sentito quasi il Trimalcione petroniano, alle prese con un buon vinello e con tanto di pulpo, churrasco e lacon. Migliaia di giovani fino al mattino tra stradine, bar e locali. Una cosa del genere l’ho vista solo al Carnevale di Colonia qualche anno fa. E con me c’erano due dei miei amici più cari, Gennaro che ora si divide tra Italia e Bulgaria, e Sergio, dimora fissa, ormai da anni, in Lussemburgo.
Ma torniamo alla Muraglia, a Lugo ed al chiasso festoso di migliaia di persone, garrulo chiacchiericcio unisono dall’alto della muraglia. Sì, ne ho approfittato per farmi il giro sulle mura di LUCUS AUGUSTI, Lugo appunto, fondata da Paolo Fabio Massimo in nome dell’Imperatore Augusto nel 13 a.C. Ottantacinque torri, 4117 metri di lunghezza, spessore che va dai 4,20 metri ai 7, cinque porte di entrata in corrispondenza con le vie principali del tracciato romano, dieci per adeguare ed inglobare tra Ottocento e Novecento la parte vecchia nella nuova. Tutto nel pieno rispetto architettonico e paesaggisitico.
Ardet Lucus, tre giorni in cui la muraglia si apre ed accoglie gente da tutta la Galizia. Il fuoco regna sovrano ed in alcuni tratti mi viene da pensare a Roma che brucia. A Nerone che dall’alto la guarda e suona, dopo aver ammazzato la madre Agrippina ed aver costretto al suicidio il suo mentore degli anni del buon governo, Seneca.
Il suicidio. Una cena a casa di Iacopo. Iacopo il vagabondo. Alto, bruno, molto magro. Sembra un lampione. La sua testa brilla come un’idea. È un ragazzo interessante, sempre pieno di vita, di storie da raccontare, di sorrisi da condividere. Ha vissuto gli ultimi anni tra Germania e Spagna, due anni a Barcellona, due a Freiburg am Mein. È andato via da La Coruña qualche giorno fa: è ritornato in Germania per seguire il suo cuore. Una storia che ancora gli fa battere il cuore. Ha continuato a studiare (perché non si finisce mai di farlo) il tedesco, qui, all’Accademia Lingua Viva. Ed ho ricominciato anche io. È strano come per un’ora a settimana mi immerga completamente in un’altra lingua, di nuovo. Quella praticata negli ultimi mesi. Basta poco per riprenderlo. Fino a qualche minuto prima di cominciare pensi a cosa sei in grado ancora di dire e ricordare e ti senti perso. Invece come per magia, quasi automaticamente, si aprono i cassetti del mio tedesco. Bene. Mi piace.
Siamo tutti a casa dei ragazzi: Iacopo, Irene, Nicola e Riccardo. È, come la nostra, una casa di ragazzi in Leonardo. Tra una birra e qualche bottiglia di vino si parla di suicidio. Un argomento interessante. Lo spunto viene dalla Peña dedicata al mediocre difensore del Deportivo La Coruña Aythami Artiles. Nell’ultimo periodo sono uscito più volte con Enrique, lavora con me in Atelier Grafica Visual e si occupa dell’impaginazione e grafica delle numerose riviste che l’azienda per cui sto lavorando edita. Spesso siamo in questo bar a due minuti da casa mia che si chiama D’Lore ed è una Peña, ossia un bar dedicato al tifo per questo calciatore. Mi sono ritrovato a chiacchierare con questo giocatore più volte. E penso: potrebbe mai accadere una cosa del genere a Napoli? Qui vige il “vivi e lascia vivere”. I calciatori passeggiano per le strade, vanno al ristorante, nei bar, senza che nessuno gli si avvicini. Molto tranquillamente. Immaginate Paolo Cannavaro che viene in un bar-bettola nel cuore di Napoli e si mette a chiacchierare con me? Bene. Già avete immaginato cosa si scatenerebbe. Qui non funziona così.
Nel bar di Lorena ho passato intere serate a mangiare il Pulpo di turno o il Churrasco (Churrasco viene chiamato un barbecue di carne mista, costolette, costole di maiale, salsicce, criollo) accompagnato da birra o da Arehucas e Cola. L’Arehucas è un ron canario molto dolce, in molti tratti simile al mio Legendario, rum cubano. Dico “mio” perché a Nola, da Nero a metà, riesco a berlo con due cubetti di ghiaccio e cioccolato fondente. E Peppino mi tratta sempre bene.
Intanto penso al povero Deportivo che se n’è sceso. Dall’anno prossimo addio alla Liga. Si passa in seconda. E quel che è peggio con alle spalle il ghigno malefico del Celta Vigo e dei suoi tifosi che con un colpo finale ben assestato hanno agguantato la salvezza. In questa lotta atavica tra le due città galiziane, il terreno di gioco, lo stadio, è il primo campo di battaglia.
Dove ero rimasto? Si, suicidio e Peña. Ma pena soprattutto.
Qualche giorno fa un ragazzo di poco meno di trenta anni si è ucciso. Si è buttato giù dal suo appartamento. Un volo e lo schianto. Ed intanto ho in testa la parte iniziale del film di Mathieu Kassovitz del 1995 “La Haine”: “Le plus dur c’est pas la chute, c’est l’atterrisage” (Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio). Un film molto profondo che ragiona e si interroga sulla vita nelle banlieu francesi. “La Haine attire la haine”. “L’odio attira l’odio”. E da un amore e dedizione immensa può scaturire un odio mortale come quello di Nerone per Seneca.
Dal 54 al 68 d.C. Seneca accompagna il “buon governo” di Nerone ma il rapporto cade nell’insofferenza e nell’odio da parte dell’imperatore prima per la madre Agrippina e poi per Seneca che, ritenuto coinvolto nella congiura dei Pisoni, ordita per uccidere Nerone, viene costretto a togliersi la vita. Seneca si taglia le vene. Ma a causa della vecchiaia e della denutrizione, il sangue non defluisce, così deve ricorrere alla cicuta, il veleno usato anche da Socrate. La lenta emorragia non permette a Seneca nemmeno di deglutire, così, secondo la testimonianza di Tacito, si immerge in una vasca di acqua calda per favorire la perdita di sangue, raggiungendo così una morte lenta e straziante, che alla fine arriva per soffocamento. E così le sue ultime parole lasciano spazio al “ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire”.
Stavo parlando di Enrique. Enrique è come Iacopo. Un vagabondo. È tornato da poco qui a La Coruña: l’ultimo anno trascorso in Australia per imparare l’inglese, e godere della vita. Ventisette anni, a detta di molti ne dimostra qualcuno in più, sarà per il suo vissuto e per la voce rauca che lo caratterizza. Simpatico, capace di stare in qualsiasi contesto e con qualsiasi gruppo, mi da però l’impressione di avere un qualcosa, forse un pensiero, o una forte delusione, che ancora l’attanaglia. Ed il suo tic involontario quando è solo, o non parla, ne è la prova evidente. Ci sono tornato più volte con lui al bar della Peña. Io sono l’”italianini” del posto. Così chiamano affettuosamente qui gli italiani! E forse la Galizia rimane uno dei pochi posti in cui l’essere italiano ha ancora il suo fascino…
Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude… purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. È Piergiorgio Welby che parla. Il caso Welby suscito uno scalpore totale in Italia soprattutto perché in quel periodo in Belgio veniva legalizzata l’eutanasia. Era il 2002. Eppure il medico di origini armene Jack Kevorkian non ebbe alcun problema nel praticare la morte assistita su oltre 130 malati terminali in Michigan.
“Morire non è un crimine“: questa è una delle frasi che Kevorkian molto utilizzerà durante tutta la sua vita. Kevorkian ha trascorso otto anni di reclusione, dal 1999 al 2007, prima di essere rilasciato per buona condotta. Soprannominato il Dottor Morte ha avuto nel 2010 come interprete sul grande schermo Al Pacino per il telefilm americano “You don’t know Jack” (Non conosci Jack), interpretazione che gli valse i premi Emmy e Golden Globe.
“Sono un criminale? Il mondo sa che io non sono un criminale. Per cosa stanno cercando di mettermi in carcere? In questa società si è perso il senso comune a causa di fanatismi religiosi e dogma”.“Gli americani sono pecore. Cercano le comodità, le ricchezze, il lavoro. Come i Romani erano felici con il pane e l’intrattenimento. Il Super Bowl per loro ha più significato di qualsiasi altro diritto”.
È sempre Jack Kevorkian che parla, e dentro ci sono i Romani, l’epoca commerciale ed il capitalismo, la religione e la schiavitù della fede, l’eutanasia. Un dolce suicidio assistito.
Bob Dylan allietò gli ultimi istanti di Piergiorgio Welby. Elena Moroni, Eluana Englaro, Giovanni Nuvoli, Terri Schiavo alcuni dei casi più discussi che irrimediabilmente vedono protagonisti sempre le persone più care, gli affetti più puri. Si chiede aiuto sempre a familiari, a padri, a mariti, a sorelle e fratelli. Sarò superficiale in questo caso perché il tema è abbastanza complesso da affrontare e rientrano in gioco più varianti e fattori che non trovano spazio in questo già troppo invadente post. Il malato irreversibile o incurabile, le legislazioni dei singoli Paesi, l’etica e gli antecedenti.
Io sono pienamente d’accordo per la legalizzazione dell’eutanasia per i malati terminali.
In Germania il suicidio assistito non è reato, purché il malato sia capace di intendere e di volere e ne faccia esplicita richiesta. Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo l’hanno legalizzata. In Italia l’eutanasia attiva è assimilabile all’omicidio volontario (art. 575 codice penale). In caso di consenso del malato si configura la fattispecie prevista dall’art. 579 c.p. (Omicidio del consenziente), punito con reclusione da 6 a 15 anni. Anche il suicidio assistito è un reato, giusta art. 580 c.p. (Istigazione o aiuto al suicidio).
Mare dentro, mare dentro,
senza peso nel fondo,
dove si avvera il sogno:
due volontà fanno vero un desiderio nell’incontro.
Un bacio accende la vita
con il fragore luminoso di una saetta,
il mio corpo cambiato
non è più il mio corpo,
è come penetrare al centro dell’universo.
L’abbraccio più infantile,
è il più puro dei baci,
fino a diventare un unico desiderio.
Il tuo sguardo, il mio sguardo,
come un’eco che ripete senza parole:
più dentro,
più dentro,
fino al di là del tutto,
attraverso il sangue e il midollo.
Però sempre mi sveglio,
e sempre voglio essere morto,
per restare con la mia bocca
preso nella rete dei tuoi capelli.
Ramòn Sampedro
Ti propaghi in me come il fuoco nella Roma di Nerone. Vedi le persone che scappano? Sono i miei pensieri. Arriverà una nuova alba. Sarai tu il sole?
Fioravante Conte